La matta del quartiere, e il suo metodo di "Educazione" imprevista.
- Michela Mercuri
- 10 feb
- Tempo di lettura: 6 min

Ebbene sì, lo ammetto: sono una brutta persona.
Ma si sa, la gente ha sempre qualcosa da dire su chi non ama i bambini.
È un po' come dire che non ti piacciono i gatti: sei subito bollato come un mostro.
Ma aspettate un attimo: a me non è che non piacciano proprio tutti i bambini, ok? Quelli che sono davvero brillanti e magari anche belli,(tipo mio nipote James, che è sia bello che intelligente - e si merita tutti i Bumblebee che riesco a trovare -)beh, quelli sì, mi piacciono.
Gli altri... mahhh, ci sono giorni in cui guardo un bambino e mi chiedo se sia stato abbandonato lì da qualche invasore alieno.
Figli? No, grazie.
Io non ho figli. Non ho mai pensato di averne, anzi, per me l’idea di diventare madre è come quella di ricevere l’eredità di uno zio americano mai visto: un pensiero totalmente impensabile.
Ah, scusate, piccola digressione! Devo raccontarvi una cosa che mi è successa (tanti) anni fa, proprio dopo aver dichiarato di non aver figli.
Ero a Boston, Gennaio, -10 gradi, neve.
Io, seduta su una panchina, ad aspettare le mie amiche che avevano deciso di entrare da Abercrombie (sì, ho preferito il gelido assideramento piuttosto che rimettere piede in quel girone infernale).
Comunque, mentre mi congelo, sento uno sguardo. Mi giro e, a qualche metro di distanza, c'era un barbone/drogato/ubriaco che mi sorrideva. Mi urla: "Posso farti un ritratto?"
Annuisco, sapendo che il fine era racimolare qualche dollaro. Dopo un paio di minuti, arriva da me e mi mostra questo foglio con uno scarabocchio che somigliava a una faccia in stile "Picasso": un occhio sopra, uno sotto, naso a punta... e lentiggini! Lentiggini! Come le aveva notate da quella distanza è uno dei misteri della fede.
Lui si avvicina, tutto contento, io gli do un dollaro e, senza che me ne accorgessi, divento parte di una conversazione surreale. A un certo punto mi chiede: "Hai figli?" e io: "No." E lui, con un sorriso da manuale, risponde: "Ah, ecco perché sei così bella! Non hai figli!"
Ebbene si, l'uomo più strafatto sulla terra, mi aveva regalato un'immensa perla di saggezza!
Tornando a noi.
Dicevo. Non ho mai preso in considerazione l'idea di averne.
Eppure...ho i cani.
Alt!
Non sto dicendo che i cani sono come i bambini. Non fraintendetemi.
Per carità, ho 50 anni, ma non ho la mente contorta di chi sostituisce figli mancanti con cani o gatti.
No, il discorso è un altro.
Avere un cane vuol dire sapere cosa comporta: amore incondizionato per un esserino fragile e indifeso, una protezione che non ha limiti, pazienza, rinunce (che però non sento come sacrifici, ma come parte del gioco), principi di educazione, buoni esempi… insomma, a occhio e croce, non mi sembra così diverso da quello che fa un genitore.
Puppies
Ma con un cucciolo umano? Oh no. Non ce la faccio. Quando mi capita di incrociare un bambino, la mia prima reazione è cercare la via di fuga.
La porta di emergenza, la finestra, l’apertura sul tetto, un’altra via di fuga... praticamente mi sento un agente segreto durante una missione ad alta tensione.
Scappare! Evitare il contatto!
Ma ho deciso di non farmi condizionare da questi impulsi primordiali.
Ho pensato: Va bene, non li devo per forza adorare.
Però posso provare a renderli un po' più tollerabili, magari anche educarli.
Chissà, potrei essere una missionaria della civiltà.
E qui inizia il mio personalissimo programma di RI-educazione.
Quando vivevo a Roma, la pista ciclabile vicino casa si era trasformata nel mio campo di battaglia quotidiano. Ogni giorno incontravo una vera e propria armata di 1.546 bambini (perché sembra che ce ne siano sempre troppi, vero?).
E io, diventata ormai una leggenda del quartiere, mi divertivo un mondo a disciplinarli.
Alcuni mi temevano, altri mi adoravano, alcuni forse anche per via dei cani.
Facciamo che avevano capito chi era il capobranco, va’, mi piace di più pensarla così.
E io invece, avevo realizzato, che il problema principale non è tanto che i bambini siano fastidiosi, ma che manca totalmente il concetto di educazione.
E no, non sto parlando di "non mettere i piedi sul tavolo".
Sto parlando della definizione sul Vocabolario di Educazione.
Ossia : metodico conferimento o apprendimento di principi intellettuali e morali, validi a determinati fini, in accordo con le esigenze dell’individuo e della società.
Tanta roba. E noi ce la siamo un po' persa per strada..
Qual è il mio metodo, vi starete chiedendo? Semplice.
La mossa da maestro: “Come ti chiami?”
Ogni bambino che mi trovo davanti, generalmente, sta facendo una delle seguenti cose: piagnucola senza motivo, urla come un ossesso, lancia oggetti o ti passa sopra con la bicicletta senza nemmeno salutare.
A questo punto è il momento di entrare in scena.
La mia arma segreta?
Un tono deciso, da comandante in capo.
La domanda cruciale è: “Come ti chiami?”
E lì, lì signori miei, li hai in pugno. Tutti.
Senza margine di errore. Sono tuoi. E' fatta.
Immaginate la scena: un adulto che ti guarda fisso, con tono autorevole, e ti fa una domanda così semplice da destabilizzarti.
Basta incalzare con altre domande e, visto che sono spaventati, iniziano a riflettere su cosa stanno facendo.
Missione compiuta.
La civiltà sta vincendo!
E, se il comportamento fastidioso sparisce quando sono io sulla ciclabile, non posso dire lo stesso di quando arrivano a casa loro... ma, beh, questa è una storia per i genitori, no?
Avete voluto la bicicletta...
Ma soprattutto, non è più un problema mio! Sono già tornata a casa, al sicuro, lontana dai mocciosi e dal caos generale.
Fratelli confusi
E poi c’è stato un episodio che merita una menzione speciale: una bicicletta , due fratelli.
Camminavo tranquillamente sulla parte pedonale della pista ciclabile (per l'appunto pedonale, non ciclabile)
All’improvviso, sento il fiato sul collo, e dietro di me c'erano due bambini in modalità “pistola” - uno sulla bici e l’altra sui pattini, praticamente incollata al primo.
Nulla di particolarmente grave se non fosse che, avere dei Vichinghi che ti passano sui piedi (e zampe) non è il mio concetto di passeggiata rilassante.
E quindi, con un tono che avrei dovuto far studiare ai migliori insegnanti di yoga per la calma, esco con un bel “FERMI!”
I bambini inchiodano, ma con facce di puro stupore, non sapendo se stanno per ricevere un rimprovero o un abbraccio.
Io continuo, imperterrita, a colpire nel segno: "Tu sulla bicicletta, come ti chiami?"
"Matteo"
“Ecco Matteo, ora scendi dalla bicicletta e portala a piedi.” "O ti metti a pedalare sul lato ciclabile."
"Ma li non ci posso andare, ho mia sorella dietro con i pattini"
"Appunto. Quindi, non credi che pedalare tirandoti dietro tua sorella sui pattini sulla parte pedonale sia una pessima idea? Magari qualcuno inciampa e si fa male?"
"Ah."
Mentre parlavo con "Matteo" la sorella, completamente incurante di quanto detto, guarda i miei cani e chiede, con innocenza disarmante: “Come si chiamano?”. Io, “Martina e Nando”.
“Ah, sono tutti e due maschi?” e io, con il sangue freddo che mi rimane: “Martina secondo te è un nome maschile o femminile?”.
"Ah."
Ah. Hanno detto Ah.
La futura classe dirigente.
Io sono rimasta sconvolta sulla totale assenza di ragionamento.
Passi sul (non) senso del pericolo perchè hai 10 anni..ma su Martina se è un nome da maschio o da femmina non ce la posso fare!!!
Per altro, almeno nel mio quartiere, metà delle bambine si chiamano Martina..non ci voleva proprio un ragionamento sofisticato no?
Questo mi ha fatto riflettere tanto.
Vuol dire che non metti in moto il cervello prima di parlare. Nada. Morto.
Ah già vero, abbiamo un'intera classe politica col cervello in queste condizioni. Giusto.
Comunque tornando agli infanti disadattati.
Mi hanno seguito, portando la bici a mano, fino alla mia uscita della ciclabile tipo cagnolini (si esatto, dicevamo? Il capobranco..), ma non ho idea se i genitori passeggiassero dietro a noi..o ..va a capire.
E non è la prima volta in cui ho notato un totale disinteresse da parte dei genitori.
Una volta, sempre sulla ciclabile, mi sono mangiata uno per uno, quattro bambini per aver tirato una bottiglia di vetro contro il muro.
Li ho ridotti un pizzico.
E anche lì i genitori, poco più in là seduti sulla panchina, non hanno fatto mezzo fiato.
Voglio dire, tu vedi una pazza, adulta, che inveisce contro tuo figlio e neanche ti alzi per vedere cosa sta succedendo?
Non per fare stupide similitudini, ma se qualcuno si avvicinasse così ai mie cani, sparerei a vista.
In ogni caso, l’obiettivo del mio approccio severo?
Farli riflettere.
Spero che nella loro testa, la memoria della “matta del quartiere” che li ha fermati sulla ciclabile, rimanga lì, ben piantata.
E magari, solo magari, inizieranno a pensare un po' prima di agire.
Del resto, è quello che faccio con i miei cani. Li metto in condizione di ragionare.
Perché diciamocelo, senza quei momenti sfidanti in cui devi risolvere qualcosa, che noia sarebbe la loro vita... e anche la mia! No?
un racconto molto sincero che fotografa perfettamente il rapporto che esiste, e non da oggi soltanto, tra genitori e figli, quest'ultimi privi di educazione e capacità di riflessione, diciamo pure che non hanno molti aiuti in questo Mondo !!!!!
MBE', PARE CHE TI DEDICHI TANTO AI BAMBINI. IO INVECE NON ME LI FILO PROPRIO, CHE MI DANNO PROPRIO FASTIDIO. CIOE', CINQUE MINUTI VANNO BENSSIMO MA POI SI DEVONO TOGLIERE DI MEZZO CHE STUFANO. INVECE CANI GATTI E TUTTE LE BESTIE, PURE ACCA VENTIQUATTRO. E QUESTA E' LA GRANDE VERITA' CHE NESSUNO SI OSA DI DIRE E CIOE' CHE LE BESTIE AMANO E INVECE I BAMBINI SONO SCOCCIANTI. AUGH